mercoledì 9 giugno 2010
Le associazioni antiracket
Nel campo della lotta alla mafia sono sorte diverse esperienze della società civile. Tra queste vi sono le associazioni antiracket che comprendono realtà commerciali che hanno subito intimidazioni diversificate quali: danni ai locali dell’attività, aggressioni, intimidazioni e minacce. Per combattere il racket e l’usura è indispensabile che le vittime denuncino i danni subiti; senza questa prova di responsabilità molto difficilmente questi fenomeni un giorno si estingueranno.
Commerciante, laureato in filosofia, Tano Grasso è stato il presidente della prima associazione antiracket costituita in Italia (l'ACIO di Capo d'Orlando). E' stato eletto deputato nel 1992 e riconfermato nel 1994 ed è stato in entrambe le legislature componente della Commissione Antimafia.
Se ci sono sempre stati operatori economici che si sono ribellati alla mafia e, spesso, hanno pagato con la vita il loro coraggio, solo con l'esperienza dell'associazione antiracket di Capo d'Orlando, costituita nel 1990, si è sperimentato un modello più incisivo e più sicuro per l'azione di contrasto. Tanti i nomi di commercianti uccisi mai comparsi sui giornali; quello di Libero Grassi, imprenditore ucciso a Palermo il 29 agosto 1991 dalla mafia per aver rifiutato di pagare il pizzo, lo si ricorda solo perché ucciso in seguito alla costituzione delle prime associazioni antiracket.
Attraverso l'associazione si sottrae l'imprenditore a quella condizione di solitudine e di isolamento che costituisce il punto di maggiore debolezza per la vittima e di maggiore forza per il mafioso; si può colpire un commerciante e spegnere quella sola voce di rivolta, ma non se ne possono colpire dieci o cento o uno tra questi, perché non si annullerebbe la resistenza degli imprenditori. “La mafia ha una struttura razionale, è cioè capace di calcolare costi e benefici – racconta Tano Grassi – il modello dell’associazionismo antiracket è un modello razionale in quanto si fonda sulla concezione che per la mafia ammazzare un imprenditore rappresenta un costo maggiore dei benefici. Dunque, questo modello si concretizza in una strategia che sprona, incoraggia gli imprenditori alla denuncia di massa. L’imprenditore, affiancato da altri, non ha più paura e il suo confronto con la mafia diventa razionale”. Le associazioni antiracket fungono da mediatrici tra gli imprenditori e la giustizia in quanto cercano di mitigare i possibili pericoli cui questi possono incorrere. “Spesso il danno all’azienda, inteso come perdita dei clienti od allontanamento del personale, è più grave dell’omicidio – continua Tano Grasso – le associazioni impediscono che questi imprenditori subiscano grosse perdite”. Contro le settanta associazioni antiracket, dopo i processi in cui si sono costituite parte civile, non vi è stato alcun atto di violenza. Si è riusciti finalmente, e non in via teorica, a conciliare la denuncia del racket con la sicurezza delle vittime.
M.C.Izzo
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